
Alla scoperta
dell’importanza della sosta sur lies, le famose fecce fini, e del
perché il naturale mette al bando chiarifiche e filtrazioni.
Dopo aver passato in rassegna tutte le fasi di
lavorazione che distinguono un vignaiolo naturale, dalla selezione delle future viti all’approccio agricolo, dalla raccolta
delle uve al perfetto grado di maturazione alla fermentazione spontanea e al
rifiuto di qualsiasi modifica dei parametri fisico-chimici del mosto o di
additivi e coadiuvanti (fatta eccezione per l’anidride solforosa), è ora di parlare di affinamento.
Il settimo e il nono punto del decalogo Triple
"A" infatti
riguardano proprio questo: la maturazione del
vino sulle proprie fecce fini e l’esclusione di chiarifiche o filtrazioni prima dell’imbottigliamento. Ma andiamo per gradi.
Per fecce fini si intendono tutti quei sedimenti che
si formano a seguito della fine della fermentazione alcolica, formati per la
maggior parte da lieviti esausti, le cui pareti cellulari vanno incontro a
processi di autolisi permettendo il rilascio sia di sostanze aromatiche che arricchiscono il profilo aromatico
del vino, sia di colloidi che ne influenzano consistenza e grassezza. Da diverso tempo i produttori artigianali, sia naturali che non,
utilizzano la tecnica del battonage per rimettere in sospensione queste fecce
apportando benefici al vino, sia in
termini qualitativi che in termini di preservazione e stabilità dello stesso.
Una filtrazione o una chiarifica di un vino appena
prodotto equivarrebbe a una privazione di queste fecce, in cambio di
un’immediata limpidezza (che sarebbe comunque facilmente raggiungibile in
seguito con dei semplici travasi) o peggio ancora dell’eliminazione di
qualunque principio di vita microbiologica all’interno di un vino, attuabile ad
esempio tramite microfiltrazioni. Per questo i due precetti vanno di pari passo.
Per capirne di più ho telefonato ad Alessandro
di Tenute Dettori “Quando si dice che i vini devono affinare a contatto con le loro
fecce fini si intende che i vini non devono essere filtrati, stabilizzati o
chiarificati… insomma il vino deve
contenere una carica microbiologica buona attiva.
Nei vini che escono l’anno successivo alla vendemmia
le fecce prima dell’imbottigliamento vengono lasciate decantare, in questo
modo, pescando il vino dall’alto, si può imbottigliare senza chiarificare o
filtrare, ma garantendo comunque una certa pulizia del vino. Nei vini invece
che maturano più a lungo in cantina le fecce sono rimesse in sospensione nel tempo con dei battonage ed è
qui che sprigionano tutto il loro potenziale. Le fecce infatti da un lato
proteggono il vino dall’ossidazione, dall’altro lo fanno maturare arricchendolo in termini di gusto e consistenza”.
Un esempio pratico? Pensate a una spremuta: le arance oltre al succo rilasciano anche la loro parte più materica.
Lasciando decantare la vostra aranciata per qualche minuto, i pezzi di polpa
precipiteranno e la parte superiore liquida risulterà limpida e molto acida.
Rimettendo in sospensione il fondo invece la spremuta sarà sì più torbida, ma
riassaggiandola la percezione dell’acidità sarà decisamente minore, perché
avremo aggiunto nuovamente gli altri componenti che erano precipitati. E
probabilmente se la filtrassimo totalmente saremmo costretti ad aggiungerci lo
zucchero.
Ecco, a livello microscopico e impercettibile a occhio
nudo, con il vino succede più o meno la stessa cosa.